Jack sedeva là, ormai da mezzora, e il
suo corpo tendeva ad abbandonare la tranquilla posa di poco prima per
irrigidirsi, una leggera tensione nervosa lo incupiva.
Non vedeva la città da molti anni,
dieci o poco meno, lì, quando era un ragazzo, non c'era un bar. Era
giunto all'indirizzo, segnato dietro a quel vecchio biglietto da
visita, con cospicuo anticipo, ed era entrato. Una ragazza dall'aria
stanca stava lucidando alcuni calici da vino. Vino italiano.
Calibrava ogni gesto, poi li allineava nella mensola alle sue spalle.
Dovrei incontrare una persona, sa se
sia già arrivata?
Il tono è cortese, distante ma non
distaccato.
La ragazza guardò intorno nel piccolo
locale vuoto, e le venne da ridere.
Credo dovrà attendere, accompagnando
le sue parole con il miglior sorriso che le riuscì. Quell'uomo
attirava sorrisi, anche se, a ben guardarlo, non sembrava molto
felice.
Si fece preparare un toast ben cotto e
una spremuta di arancia, sedendosi ad attendere ad un tavolino,
illuminato dal sole pomeridiano. Era stanco e affamato, spossato e
impolverato dal viaggio, ma si sentiva ancora sereno. E sopratutto
soddisfatto. Finalmente avrebbe incontrato lei, quella donna che
inseguiva da molti anni, quella donna che avrebbero potuto rispondere
a molti perché, quella donna che avrebbe potuto finalmente far
chiarezza nel suo passato.
Arrivò la spremuta, era fresca e
dissetante. Arrivò il toast, era caldo e buono, ma non gli tolse la
fame; ne ordinò un secondo, scorrendo i titoli di un quotidiano
locale. A Jack sembrava impossibile, tutti quegli anni di assenza e
succedevano sempre le stesse cose; niente cambiato di una virgola,
anche se, da come ricordava, erano molte le cose da cambiare.
Ripose il giornale e prese un pesante
tomo dal borsone da viaggio. La ragazza, nel porgergli il nuovo
toast, scorse una lingua strana stampata sulle pagine.
"Vieni da lontano?"
Chiese incuriosita, ma subito si pentì
della domanda.
Mosca.
Evidentemente l'uomo non aveva voglia
di parlare molto.
"Ma non vi sono rimasto a lungo,
fino a pochi mesi fa vivevo ad Oslo."
E adesso? Lei preferì non esternare
questa nuova interrogazione e tornò dietro al bancone.
Rimasero così a lungo.
Lui leggeva assorto, fino alla più
insignificante cellula conquistato dalle pagine, in quella lingua
assurda, lei con i suoi bicchieri, ormai tutti brillanti, lo guardava
rapita. Notava il corpo di lui che iniziava a dare segni di
inquietudine, sentiva l'ansia salire nei suoi respiri, ma annusava
l'aroma della vita che pulsava, provenir da lui.
Un notiziario alla radio lo distolse
dal suo libro, facendogli volgere gli occhi al grande orologio con le
lancette turchesi.
"È giusta l'ora?"
Lei annuì.
"Allora inizio a temere di
aspettare invano."
Ormai si trovava nel piccolo bar da più
di un'ora. Lei non commentò nulla ma, con un singolo, semplice
gesto, gli offrì una sigaretta.
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