domenica 4 novembre 2012

La partenza di giugno


Giugno è sempre stato il mio mese preferito, non chiedetemi perchè. A Giugno può succedere tutto. Ed era Giugno. Ed era quel treno. Il mio treno. Il treno che preferisco. Parto di prima mattina e giungo che la serata è al termine; diretto, l'unico diretto tra le due cittadine assai distanti; molte fermate, molte ore, nessun cambio.
Giornate dense su quegli scomodi sedili.
Potresti prendere l'auto. In due ore sei già all'aereoporto, e in un altro paio d'ore arrivi direttamente là. Ancora non capisco perchè ti ostini a voler perdere tutto questo tempo, e a viaggiare così scomodo. Magari tu risparmiassi, no, neanche quello.
Mia madre non capirà mai il mio rapporto col treno. Ho sempre creduto che si ostinasse a non voler capire, adesso ho cabiato idea. Radicalmente. È più probabile che sia io, a non sapere trasmettere la mia idea, a non saper aprirmi verso gli altri, per coglierne i loro, di messaggi. Sono io, quello barricato in me stesso, nelle mie idee e nei miei pregiudizi.
Me lo ha detto quel treno, nella notte di Giugno.
Io, così bravo a scrivere, e parlare, e far parlare i miei personaggi, e inventare storie, e immedesimarmi in uomini invisibili, e capire sentimenti di donne mai nate, io, che creo mondi parallelei, con lo stesso realismo delle mie impronte sulla soglia nei piovosi giorni autunnali, io, che non colgo i suoni della mia vita. Percepisco la melodia ma, senza saperlo, mai avevo udito le singole note.
Avevo chiesto a mio fratello di accompagnarmi fino alla stazione; pochi giorni sarei rimasto, ma avevo con me molti bagagli. I bagliori dell'alba di Giugno sono splendidi, e frizzante l'aria sebbene si annunci già il calore, il profumo della rugiada sornione aleggia.
Ci concedemmo un caffè al bar quasi vuoto, i pendolari non erano arrivati.
"Allora?"
"Allora cosa?"
Si strinse nelle spalle e non rispose. Il fatto è che io e mio fratello sia molto legati, ma, quanto a parlare, è proprio un altro discorso. La mia vita era un maledetto guazzabuglio, arenato come da giovane, nelle fotografie che non ero capace di fare, ma con molti anni in più da sopportare.
"Quanto ti trattieni?"
"Poco, ancora di preciso non lo so, ma poco."
Mi guardava, e dietro a quegli occhi, gemelli dei miei, muto rimprovero colmo di fraterno amore. Io, con il mio carico di inquietudini, di sbagli, di strade interrotte, di ripensamenti, lui con le sue nette limpide definitive scelte. Aveva vent'anni, disse qui, e lì vive ancora, disse questo, e tale rimane il suo lavoro, disse lei, e sono ancora felicemnte sposati. Io...
"Perchè non ti stabilisci lassù in maniera definitiva?"
Effettivamente sarebbe stata la soluzione migliore per il mio lavoro, però...
"Te andresti mai via da qua?"
E lui alzò il sopracciglio, assumendo quella vecchia espressione che, da ragazzo, aveva fatto strage di cuori.

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