Frizzante la mattina, con un'aria da
neve che mozza il respiro. Plumbeo il cielo, densa l'atmosfera,
carica di una promessa non certo velata.
Il sole che non aspettavo accompagna
ora i miei passi lievi, nei grandi viali con morte foglie di vecchi
alberi, colori autunnali e Natale alle finestre, il tono sommesso del
Natale di periferia. È freddo ma non lo sento, non più, non ancora.
Auto che sgommano al mio fianco, la
trasmissione televisiva esce dalla casa di ringhiera, il fischiettare
dell'uomo. Non li odo, solo i pensieri nella mia mente. Ma oggi non
sono preoccupazioni, sono idee vaghe, volteggiano in equilibrio tra i
disegni delle mie sensazioni.
Lo smog fitto, la friggitoria
all'angolo, un take away cinese, sono odori che non mi giungono.
È caffè. Caffè, non uno strisciante
profumo che scivola via sotto la porta di un bar, ma un aroma forte,
intenso, palpabile. Chicchi tostati e come appena macinati sembra che
mi scorrano tra le dita, avvolge e rapisce senza che io capisca dove.
Ignota la provenienza, mi sposto ed è medesimo. Non accenna a
scemare, né a crescere, non demorde, mi segue.
Sprezzantemente fuori luogo, mi chiedo
se sia io l'unica a percepirlo e continuo il mio percorso. Foglie
gialle, tracce sull'asfalto, scarpe di vernice rovinata, ruvidi
cappotti, ambulanti lungo la via, e caffè, murales scoloriti,
cartelloni strappati, semafori rossi. E caffè. Clacson innervositi,
un ombrello rotto, un passante distratto. E caffè.
Mi insegue fino a casa, non da tregua.
Salgo le scale con la lenta consapevolezza dei deja vu, la porta si
apre, cigolando silenziosa, tutto appare come l'avevo lasciato, e sul
fornello la moka pongo.
Tu caffè, forte e pungente, non
capisco come, sei ancora con me.
Fischi moka, mi chiami, arrivo, ma ciò
che bevo non sa di nulla. Mi rimane quel buon odore con cui cullare
il mio pomeriggio.
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