Dormo, la testa reclinata e le braccia
distese, morbidamente appesa in un sonno tranquillo. È un rumore che
mi sveglia, qualcosa che forse è lontano, qualcosa che forse è
dentro me. È flebile ma mi sveglia, ha il potere del ricordo, che è
forte e chiaro, anche quando bisbiglia.
All'inizio mi era sembrata lei, prima
di capire che non era possibile. Chilometri da qui, un'altra casa, un
altra famiglia, un altro nome.
Dovetti per forza così, eppure ti
penso, nei momenti più strani.
Ti chiamai fenice, gatta dalle mille
vite. Ti ricordo cucciola, a malapena guardavi stupita tutto quel che
ti circondava. Con la linguetta ruvida mi leccavi le dita e premevi
il musetto nel palmo della mano.
Mi venivi a svegliare ogni mattina,
miagolavi sotto il letto per farmi alzare. Camminavi tra i miei passi
e quanto mi odiavi quando, assonnata, ti pestavo la coda.
Nelle notti d'inverno ti accoccolavi
sulla schiena, e con il tuo pelo scaldavi anche me. Proprio là, dove
sento sempre freddo.
Tornavo a casa la sera tardi, venivi
alla porta ad aspettarmi. Ruffiana, lo sapevi che ti portavo la
pappa. Se ero triste mi saltavi tra le braccia, ti facevi cullare dai
miei pensieri.
Adesso te lo posso anche dire, tutto
quel pelo che tanto odiavo e che ovunque andava a finire mi manca, e
mi manca un bel po'.
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