giovedì 27 dicembre 2012

Feng


Dormo, la testa reclinata e le braccia distese, morbidamente appesa in un sonno tranquillo. È un rumore che mi sveglia, qualcosa che forse è lontano, qualcosa che forse è dentro me. È flebile ma mi sveglia, ha il potere del ricordo, che è forte e chiaro, anche quando bisbiglia.
All'inizio mi era sembrata lei, prima di capire che non era possibile. Chilometri da qui, un'altra casa, un altra famiglia, un altro nome.
Dovetti per forza così, eppure ti penso, nei momenti più strani.
Ti chiamai fenice, gatta dalle mille vite. Ti ricordo cucciola, a malapena guardavi stupita tutto quel che ti circondava. Con la linguetta ruvida mi leccavi le dita e premevi il musetto nel palmo della mano.
Mi venivi a svegliare ogni mattina, miagolavi sotto il letto per farmi alzare. Camminavi tra i miei passi e quanto mi odiavi quando, assonnata, ti pestavo la coda.
Nelle notti d'inverno ti accoccolavi sulla schiena, e con il tuo pelo scaldavi anche me. Proprio là, dove sento sempre freddo.
Tornavo a casa la sera tardi, venivi alla porta ad aspettarmi. Ruffiana, lo sapevi che ti portavo la pappa. Se ero triste mi saltavi tra le braccia, ti facevi cullare dai miei pensieri.
Adesso te lo posso anche dire, tutto quel pelo che tanto odiavo e che ovunque andava a finire mi manca, e mi manca un bel po'.

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