Mi feci aiutare da mio fratello con i
bagagli, e il viaggio ebbe inizio.
Alla partenza il treno quasi deserto,
sulla banchina poche mani, saluti muti. Guardavo le spalle di mio
fratello che si allontanavano, e tutto era come irreale.
Tra i bagagli il mio lavoro, che poteva
aspettare. La mia attenzione, fuggente, cercava un oggetto su cui
trovar quiete. Vanamente. L'inquietudine celata, sopita, domata
iniziava di nuovo a farsi sentire, non potevo negare a me stesso il
molteplice motivo di quel viaggio.
Nello scompartimento non ero solo, un
giovane uomo insieme a me. Salendo sulla carrozza era già lì. Aveva
alzato gli occhi un attimo, veloce gesto di cortesia, aveva abbozzato
un cenno di saluto ed era tornato alle sue occupazioni. Lo spiavo dal
riverbero del vetro; la sua immagine tendeva a catturarmi.
Sedeva comodo, leggermente storto,
eppure pareva che non sedesse affatto, ma che fosse la poltrona a
sorreggere lui, una sorta di galleggiamento. Le gambe, abbandonate
inerti, dondolavano appena. Il giovane uomo stava scrivendo,
appoggiandosi sul braccio destro per avere un sostegno. Era mancino.
Usava una penna in plastica trasparente, rossa, una comunissima penna
pubblicitaria con la bianca scritta TANTRA, un piccolo insignificante
particolare che così tanto contrastava con l'immagine globale.
Pesanti occhiaie, barba di alcuni giorni, lunghi boccoli neri che
cadevano ribelli sulla fronte. Eppure la sua persona appariva
oltremodo curata e ordinata. Affidabile. Scuri, il viso e le mani,
una carnagione propria di chi passa molto tempo all'aria aperta, una
strana voglia biancastra alla base del collo.
Scriveva velocemente, e con gli occhi
attenti seguiva la penna muoversi veloce. Occhi neri, occhi che
brillavano, occhi che scintillavano, occhi vivi. I suoi occhi erano
il suo biglietto da visita migliore.
Quel giovane mi rimaneva simpatico e
proprio per questo non mi andava di interromperlo; lo lasciavo
scrivere con quel fare veloce, e mi godevo la soddisfazione sulla sua
pelle. Perché ne traeva soddisfazione, questo era evidente. Già,
dentro me, s'insinuava la curiosità.
Cosa? A chi? Perché?
Il giovane non faceva minimamente caso
a me, ogni tanto s'interrompeva, alzava gli occhi e sorrideva; ma io,
vi assicuro, non c'entravo niente. Era tutta una storia tra lui e le
sue parole.
Mi tornò in mente il mio, di lavoro. E
il motivo del mio viaggio. Quello ufficiale; poi c'era l'altro,
quello importante, quello ufficioso, quello brutto, quello che sapevo
solo io. E ritenni opportuno mettermi anch'io a scrivere qualche
appunto. Il giorno dopo, in un ristorante del centro per iniziare,
nel suo ufficio successivamente, mi aspettava il mio editore. Avrebbe
atteso me e le mie tre ventiquattrore; avevo ancora un po' di tempo
per salvare la mia situazione lavorativa.
La prima è una valigetta marrone
consunta, i lacci tendono a cedere e le cerniere s'inceppano, lisa
dal troppo prolungato uso, mi segue dalla pubblicazione del mio primo
romanzo. Mi portò fortuna e allora io la porto con me. Quel giorno
conteneva una copia dell'ultima mia opera in stampa, che sarebbe
uscita a breve nelle librerie tedesche, e un numero pressoché infinito di documenti a essa inerenti. Io e Oleg, il non solo
editore, dovevamo solo perfezionare le ultime linee di marketing. Poi
la seconda valigetta, nera, seria, lucida e luccicante, regalo di
Natale, dell'ultimo Natale ad essere specifici, della mia fidanzata.
Questa conteneva il romanzo che avevo appena terminato; Oleg aveva
letto qualche anteprima e ne era rimasto letteralmente orripilato,
come sempre. Dal giorno dopo avremo iniziato il braccio di ferro
sulle modifiche da apportare. Se proprio devo essere sincero, dato il
mio umore dell'epoca, sarebbe stata la prima volta che non mi sarei
accanito su ogni virgola, per portare avanti le mie idee. Infine, la
terza valigetta acquistata per l'occorrenza; in tutta fretta il
pomeriggio precedente, nella merceria cinese all'angolo. Ma era
pressoché ancora vuota.
Iniziare un nuovo romanzo, per chi non
lo sappia, non è impresa da poco; spesso accade che me ne vado in
giro per mesi a scrivere e scrivere, bozzette e spunti, iniziando
decine di storie diverse, senza che nessuna sia degna di questo nome.
Poi arriva l'idea, straccio tutto il resto e parto come un treno. Da
molti mesi attendevo quell'idea e la terza valigetta del mio viaggio
conteneva solo sputi di letteratura che il mio editore voleva
ugualmente visionare, e io avevo ugualmente la speranza di scrivere
qualche riga decente nelle ultime ore rimaste.
Il mio silenzioso compagno aveva appena
vinto la parte di un protagonista. Di quale storia, dovevo ancora
inventarlo; il suo personaggio, però, mi piaceva.
Uomo, circa trent'anni, viso che
oscilla tra il particolare e il bello, buona cultura, leggermente
eclettica, autodidatta(?), animo inquieto e solitario ma generoso.
Bisogno di libertà. Viaggiatore. Intraprendente e curioso.
Viaggiatore di nuovo, molto viaggiatore. Talvolta tenebroso.
Lo chiamai Jack, e iniziai a scrivere.
con un nome così, ne farà un bel po', di strada
RispondiElimina:-)