venerdì 7 dicembre 2012

Un giovane


Mi feci aiutare da mio fratello con i bagagli, e il viaggio ebbe inizio.
Alla partenza il treno quasi deserto, sulla banchina poche mani, saluti muti. Guardavo le spalle di mio fratello che si allontanavano, e tutto era come irreale.
Tra i bagagli il mio lavoro, che poteva aspettare. La mia attenzione, fuggente, cercava un oggetto su cui trovar quiete. Vanamente. L'inquietudine celata, sopita, domata iniziava di nuovo a farsi sentire, non potevo negare a me stesso il molteplice motivo di quel viaggio.
Nello scompartimento non ero solo, un giovane uomo insieme a me. Salendo sulla carrozza era già lì. Aveva alzato gli occhi un attimo, veloce gesto di cortesia, aveva abbozzato un cenno di saluto ed era tornato alle sue occupazioni. Lo spiavo dal riverbero del vetro; la sua immagine tendeva a catturarmi.
Sedeva comodo, leggermente storto, eppure pareva che non sedesse affatto, ma che fosse la poltrona a sorreggere lui, una sorta di galleggiamento. Le gambe, abbandonate inerti, dondolavano appena. Il giovane uomo stava scrivendo, appoggiandosi sul braccio destro per avere un sostegno. Era mancino. Usava una penna in plastica trasparente, rossa, una comunissima penna pubblicitaria con la bianca scritta TANTRA, un piccolo insignificante particolare che così tanto contrastava con l'immagine globale. Pesanti occhiaie, barba di alcuni giorni, lunghi boccoli neri che cadevano ribelli sulla fronte. Eppure la sua persona appariva oltremodo curata e ordinata. Affidabile. Scuri, il viso e le mani, una carnagione propria di chi passa molto tempo all'aria aperta, una strana voglia biancastra alla base del collo.
Scriveva velocemente, e con gli occhi attenti seguiva la penna muoversi veloce. Occhi neri, occhi che brillavano, occhi che scintillavano, occhi vivi. I suoi occhi erano il suo biglietto da visita migliore.
Quel giovane mi rimaneva simpatico e proprio per questo non mi andava di interromperlo; lo lasciavo scrivere con quel fare veloce, e mi godevo la soddisfazione sulla sua pelle. Perché ne traeva soddisfazione, questo era evidente. Già, dentro me, s'insinuava la curiosità.
Cosa? A chi? Perché?
Il giovane non faceva minimamente caso a me, ogni tanto s'interrompeva, alzava gli occhi e sorrideva; ma io, vi assicuro, non c'entravo niente. Era tutta una storia tra lui e le sue parole.
Mi tornò in mente il mio, di lavoro. E il motivo del mio viaggio. Quello ufficiale; poi c'era l'altro, quello importante, quello ufficioso, quello brutto, quello che sapevo solo io. E ritenni opportuno mettermi anch'io a scrivere qualche appunto. Il giorno dopo, in un ristorante del centro per iniziare, nel suo ufficio successivamente, mi aspettava il mio editore. Avrebbe atteso me e le mie tre ventiquattrore; avevo ancora un po' di tempo per salvare la mia situazione lavorativa.
La prima è una valigetta marrone consunta, i lacci tendono a cedere e le cerniere s'inceppano, lisa dal troppo prolungato uso, mi segue dalla pubblicazione del mio primo romanzo. Mi portò fortuna e allora io la porto con me. Quel giorno conteneva una copia dell'ultima mia opera in stampa, che sarebbe uscita a breve nelle librerie tedesche, e un numero pressoché infinito di documenti a essa inerenti. Io e Oleg, il non solo editore, dovevamo solo perfezionare le ultime linee di marketing. Poi la seconda valigetta, nera, seria, lucida e luccicante, regalo di Natale, dell'ultimo Natale ad essere specifici, della mia fidanzata. Questa conteneva il romanzo che avevo appena terminato; Oleg aveva letto qualche anteprima e ne era rimasto letteralmente orripilato, come sempre. Dal giorno dopo avremo iniziato il braccio di ferro sulle modifiche da apportare. Se proprio devo essere sincero, dato il mio umore dell'epoca, sarebbe stata la prima volta che non mi sarei accanito su ogni virgola, per portare avanti le mie idee. Infine, la terza valigetta acquistata per l'occorrenza; in tutta fretta il pomeriggio precedente, nella merceria cinese all'angolo. Ma era pressoché ancora vuota.
Iniziare un nuovo romanzo, per chi non lo sappia, non è impresa da poco; spesso accade che me ne vado in giro per mesi a scrivere e scrivere, bozzette e spunti, iniziando decine di storie diverse, senza che nessuna sia degna di questo nome. Poi arriva l'idea, straccio tutto il resto e parto come un treno. Da molti mesi attendevo quell'idea e la terza valigetta del mio viaggio conteneva solo sputi di letteratura che il mio editore voleva ugualmente visionare, e io avevo ugualmente la speranza di scrivere qualche riga decente nelle ultime ore rimaste.
Il mio silenzioso compagno aveva appena vinto la parte di un protagonista. Di quale storia, dovevo ancora inventarlo; il suo personaggio, però, mi piaceva.
Uomo, circa trent'anni, viso che oscilla tra il particolare e il bello, buona cultura, leggermente eclettica, autodidatta(?), animo inquieto e solitario ma generoso. Bisogno di libertà. Viaggiatore. Intraprendente e curioso. Viaggiatore di nuovo, molto viaggiatore. Talvolta tenebroso.
Lo chiamai Jack, e iniziai a scrivere.

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