Tutto fu molto strano.
La via era stretta nel piccolo paese di
mare, di cui non ricordo il nome. Era arroccato su un promontorio,
questo sì.
Una via vecchia con i muri di pietra,
dove solo i vecchi possono abitare.
"Mi scusi signora".
E lei si voltò. Chiesi allora
l'indicazione che mi serviva.
La donna arricciò il naso e disse
qualcosa, non so perché, non l'ascoltai. Guardavo quegli occhi, così
vivi e azzurri, immersi in quel mare di rughe infinite.
"È lontano, venga a prendere un
tè".
Era freddo ed accettai. La scala, ancora
in pietra, scivolava di ghiaccio. Arrivai fin su con fatica.
"Già la scala" commentò lei
"non è così comoda".
Ma si muoveva sicura, nelle vecchie
gambe gonfie.
Entrammo in una stanza buia, ma
arredata con cura. Soprammobili profumavano di gusto antico.
Dal retro un forte aroma invitava, e
una pentola sul fuoco bolliva.
Cuoce il pranzo?
Sì, è per Piffero.
Dunque pensai che fosse il cane, ma
tracce non ve ne erano. Né certamente un giardino, nella stretta
strada di pietra.
Chiesi, ma disse che no, scosse la
testa lentamente, non era il cane. E quasi rise della mia idea.
"Adesso è fuori, la mattina
girovaga".
Sarà il gatto, mi venne in mente, non
chiesi più.
Conversammo, e poi.
"Venga glielo presento"
spenta la zuppa sul fuoco. Teste di pesce in un brodo denso, per un
gatto, è ovvio.
Uscimmo nel terrazzo in pietra,gelato,
e la donna fischiò. Forte e nitido, un fischio da uomo. Fischiò e
nitido il suolo volò via, per ritornare sulle ali di Piffero che si
appollaiò sul suo braccio.
Beato, mangiò la sua zuppa.
Quello era Piffero, l'anziano gabbiano
di compagnia.
Nessun commento:
Posta un commento