Giunse in stazione vestito leggero,
sebbene facesse già molto freddo. Si fermò in un bar a bere un
caffè, ed era l'unico senza fretta, l'unico senza valigie, l'unico
vestito così leggero.
Bevve il caffè. E lo fece con molta
calma, mescolandolo a lungo tra le spinte di chi fretta aveva.
Uscì e si mise a guardare il
tabellone.
Rimase molto, con gli occhi inchiodati
su quelle lettere luminose. Il terzo treno, quello che giungeva da
più lontano, sarebbe arrivato tra trenta minuti. Non c'era ancora il
binario, egli attese paziente, mentre il ritardo cresceva.
Dopo mezzora, di attesa ancora mezzora.
Comparve un binario. Il diciassette. Si recò là e sedette su una
panchina gelata.
Stava immobile, fermo nell'attesa, con
quella giacca a vento consumata. Ma non sentiva freddo.
Non sembrava neppure impaziente.
Il treno arrivò. Gran stridore di
freni e rumore di vecchiume. Con uno sbuffo le portiere si aprirono e
frotte di viaggiatori uscirono fuori. Valigie pesanti, borsoni gonfi,
bauli carichi. Chi si sbracciava, chi cercava qualcuno, chi smarrito
tentava di liberarsi dalla calca.
Saluti, baci, strette di mano, abbracci
a lungo rimandati.
Lui, immobile, li guardava tutti
sfilare, sembrava non avesse espressione.
Ancora pochi minuti e la banchina fu
deserta. Rimase solo lui e la consapevolezza che, anche oggi, lei non
era venuta.
Si avviò verso casa.
Forse non sarebbe venuta mai.
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