Mi sono svegliata con il cuore in
tumulto e una leggera nausea. L'incubo aleggiava ancora nell'aria,
malgrado ciò non ho acceso la luce, volendo godermelo appieno, non
perdere neppure un briciolo di quella brutta sensazione.
Eravamo io e te, al solito. Non nel
campo di grano dove ci incontriamo tutte le notti, in tutti i miei
sogni, e spero anche nei tuoi. No, non questa volta.
Eravamo su un prato, sulla riva di uno
stagno. Uno stagno ben strano a dire la verità. Lindo e limpido,
lucente come un mare cristallino.
Un cerbiatto beveva, guardando le
nostre persone, giubilo di colori e canto di uccelli. L'amenità di
quel luogo era da brivido, nel contrasto con le nostra facce scure.
Mi volevi parlare, lo so, negli occhi
te lo leggevo, ma non riuscivi ad aprir bocca, non volevi o non
potevi. Non riuscivo a capirlo, con gli occhi mi imploravi di parlare
io per te, ma neppure io riuscivo.
Siamo rimasti così a lungo, e nemmeno
sfioraci le membra ci era permesso. Vicini e lontani, schiacciati
nella morsa di un volere non nostro.
Poi d'un tratto mi son persa in un
bosco e tu non c'eri. Cercarti volevo ma la paura m'immobilizzava,
sentivo la tua voce chiamarmi, forse era nella mia testa soltanto.
A lungo, tra le tenebre, aspettavo e la tua voce mai cessava.
Ancora adesso, e sono sveglia, me la
sento nelle orecchie.
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