Appare surreale, la situazione tutta.
Un denso odor di fumo impregna l'aria e
mi impedisce il lavoro. Ma forse non è quello il fattore principale.
Un timer ticchetta lontano e da una parvenza di vita a un luogo di
abbandono. Non conto i calcinacci e i rifiuti accanto a me, diverrei
matta. Faccio finta che non esistano, così è meglio.
I rumori dall'altra stanza potrebbero
provenire da un altro mondo, e per me lo è quasi. Colpi di martello,
passi ovattati, voci di donne. Forse. Non mi interessa.
Su questo tavolo cui mi appoggio, vita
quotidiana alla rinfusa. Parti di un futuro, parti di un passato,
oggetti di passaggio che non inquadrano "l'ora". Due
bottiglie d'acqua, un bicchiere sporco, un rotolo di scotch,
biglietti da visita in carta sottile, una plafoniera, un portamonete
turchese, un libretto di istruzioni, forbici, un portacenere annerito
dal tempo e qualche foglio di appunti. I fogli sono miei, tutto il
resto mi sfiora come vento lontano.
Scrivo, ma il mio scrivere è solo un
attendere. Attendo qualcuno, attendo il momento, attendo le idee.
Il sole va giù, inesorabile come suol
fare, e alla mia porta ancora non ha suonato nessuno. Chissà se mai
lo farà.
Cercare di capire se attender ancora è
utile o no.
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