Si chiamava Emma, la donna affacciata
alla finestra. Quella casa laggiù, in fondo al paese. Emma, la
lattaia. Veniva chiamata così perchè tutte le mattine scarpinava
fino alla casa del fattore, sul ripido pendio e, con a prestito il
suo calesse, distribuiva il latte appena munto, nelle abitazioni
della valle.
Emma la lattaia era giovane, ma sapeva
il fatto suo. A quei tempi era necessario.
Giungevano, al di là delle sue spalle,
forti rumori di martello; suo marito falegname aveva la bottega
annessa alla piccola casetta. Matteo si chiamava, ma tutti lo
conoscevano come l'Orbo. Non starò a spiegarvene il motivo.
Emma sparì e chiuse le imposte dietro
a sè.
In quei giorni la loro era una dimora
felice; Emma era una giovane donna felice, e la sua era una di quelle
felicità limpide e lampanti che niente può nescondere o demolire.
Il rotondo viso, arrossato dal sole e dalla vita sui monti, sempre
solare, sempre ridente. Era robusta, una sana corporatura forte delle
contadine giovani, con le spalle possenti e il fazzoletto sulla nuca.
Irradiava una bellezza particolare, tutta sua, una bellezza di buon
cuore, una bellezza gioviale, una bellezza materna. Non perderò
molto tempo a dirvelo, Emma era molto amata.
Non era passato un anno dal suo
matrimonio con l'Orbo, che molti bisbigliavano la sua scelta. Si
vociferava che il fattore voleva portarla a nozze, era vedovo ma
ancora giovane, la giovane Emma avrebbe fatto un salto nella scala
sociale, ma si rivelarono solo voci, e lei accettò la proposta di
Matteo. Il falegname oltre a essere molto più vechio di lei e orbo,
aveva una salute cagionevole e delicato di corpuratura. In contro era
un uomo onesto, gentile ed educato, per di più un gran lavoratore.
La coppia era serena, mi correggo, per
quell'anno fu serena, e molto. Sebbene la guerra perdurasse da anni,
loro, tra i monti, se la passavano bene.
Poi arrivò il 7 Maggio, e con esso una
nuova chiamata alle armi. Anche l'Orbo dovette partire, abbandonò i
suoi attrezzi, baciò la moglie e disse che sarebbe stato presto di
ritorno.
Dopo poco la prima lettera, lui la
lesse sicuro, poichè la risposta, nella traballante grafia da
semianalfabeta non si fece attendere. Emma lo informava che era in
dolce attesa. Le donne giù al lavatoio, le mani vizze e fredde,
davano i consigli della loro maggiore esperienza. La pancia crebbe ed
Emma scrisse ancora. Anche questa volta la risposta non tardò. La
condussero dall'indovina del paese, mezza erborista e mezza pazza,
che vide un maschietto nel giovane corpo.
Il parto si preannunciava imminente ed
Emma scrisse ancora, la risposta tardava, lei non cedeva, può
essersi persa, pensava. Partorì, con solo la levatrice del paese al
suo fianco e una seconda lettera non ebbe risposta. Emma attendeva,
fiduciosa, mentre tutti in paese le consigliavano di desistere; aveva
un bel bambino tra le braccia, doveva essere fiduciosa. Quel bambino
ero io.
Caddero le foglie e le sue illusioni le
seguirono; un inverno rigido si preannunciava, sarebbe stato un duro
inverno, per la giovane. Fu il buon fattore a dare una mano a mia
madre, prendendola in casa come domestica.
E gli anni iniziarono a passare
placidamente.
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